Fico d’India Usi e Curiosità

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Il Fico d’India è la pianta che caratterizza il bel panorama dell’Italia meridionale. A dispetto del nome, la sua origine non è indiana ma bensì centroamericana; per la precisione la patria del Fico d’india è il Messico, paese che lo ha raffigurato sulla bandiera dello stato.

Il Fico d’India è la pianta che caratterizza il bel panorama dell’Italia meridionale. A dispetto del nome, la sua origine non è indiana ma bensì centroamericana; per la precisione la patria del Fico d’india è il Messico, paese che lo ha raffigurato sulla bandiera dello stato.

Le origini del Fico d’India

Il fico d’India o ficodindia (Opuntia ficus-indica) è una pianta succulenta appartenente alla famiglia delle cactacee, originaria del Messico, da cui si diffuse in tutto il centro-America fin dai tempi dei Maya, degli Aztechi e degli Incas, che la consideravano una pianta sacra. Nel corso dei secoli il Fico d’India si è naturalizzato in tutto il bacino del Mediterraneo (Sicilia, Calabria, Puglia e Sardegna). La regione in cui è maggiormente diffuso è la Sicilia, dove non solo rappresenta il 90% della produzione nazionale, ma è talmente radicato nel paesaggio da costituire un elemento naturale, quasi scenografico. E’ impossibile immaginare la Sicilia senza le pale di Fico d’India!

Caratteristiche principali del Fico d’India

Molti pensano che l’albero di fico sia parente del Fico d’india. Invece i due a parte il nome, non hanno praticamente nulla in comune.
Il Fico d’India ha una struttura particolare, a volte alto fino a 4-5 metri. Nel caso di questa pianta non si può parlare semplicemente di foglie; infatti, va correttamente spiegato che si tratta di una pianta caratterizzata da ampie spate (foglie), dette anche  cladodi, spesse e carnose, oblunghe ed appiattite, di colore verde glauco, a cui è impropriamente attribuito il nome di foglie: si tratta invece di fusti che garantiscono la fotosintesi clorofilliana sostituendo la funzione delle vere foglie, le quali si sono trasformate nelle coriacee e pungenti spine coniche di 1-2 centimetri, la sua difesa.

I fiori e i frutti del Fico d’India

A partire dalla primavera e per tutta l’estate, il Fico d’India produce i fiori che si sviluppano generalmente sui cladodi che hanno più di un anno.
Dal fiore si origina una bacca (frutto), ricoperto di spine, con colori che vanno dal verde al bianco, dal giallo all’arancione ed al rosso.
I suoi frutti, coronati di spine, sopravvivono alle aride e secche temperature del sud e sono commestibili. Hanno la polpa dolce, ricca di minerali, soprattutto calcio, fosforo, e vitamina C. Sono usati nell’alimentazione umana, allo stato fresco come frutta o come gelatina, oppure privandoli dei semi vengono utilizzati per produrre succhi, liquori e sciroppi.

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Proprietà fitoterapiche del fico d’India

Oggi il Fico d’India è fonte di interesse non solo in ambito alimentare ed agricolo, ma anche in quello fitoterapico e cosmetico. Ricordiamo che fitoterapici sono tutti quei medicinali il cui principio attivo è una sostanza vegetale. (in rosso parte da tagliare eventualmente).
Recentemente, nel Dipartimento di Medicina di New Orleans (Stati Uniti) è stato dimostrato un possibile effetto nella diminuzione dei sintomi che seguono l’ intossicazione alcolica, mentre il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche Chimiche e Farmaceutiche dell’Università di Palermo, ha dimostrato l’azione antiossidante del fico d’India.
La Facoltà di Farmacia dell’Università di Messina ha dato un fondamento di verità alle teorie antiche che attribuivano attività diuretica alla pianta.
Vedremo più avanti nel capitolo delle “Curiosità” come questa pianta possa aiutare anche per l’obesità !

Usi del Fico d’India dalla tradizione ad oggi

Anche se a chi ama mangiare i frutti del Fico d’India si raccomanda di non eccedere, poiché l’abbondanza dei loro semi legnosi può causare stipsi, la pianta gode di innumerevoli proprietà curative. Molte usanze affondano le radici nel l’antico popolo azteco che utilizzava già diverse proprietà del Fico d’India. Sfruttavano infatti il succo ricavato dalle foglie associato a miele e rosso d’uovo come lenitivo per le scottature e il succo da solo come lubrificante per agevolare gli spostamenti di grandi massi di pietra.
Le fibre della pianta sono state invece usate in antichità e lo sono tuttora come regolatrici della glicemia e protettrici della mucosa gastrica.
Insomma, antiossidante, cicatrizzante, rinfrescante, depurativo, e antinfiammatorio sono solo alcune delle proprietà che appartengono a questo frutto, grazie soprattutto alla presenza di magnesio, vitamina C e antiossidanti che combattono i processi degenerativi delle cellule.
Proprio per alcune sue proprietà tra cui quella antiossidante è utilizzato anche in cosmesi, per la produzione di shampoo, saponi, lozioni per la crescita dei capelli e creme.

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Curiosità e leggende e miti del Fico d’India

Curiosità

La struttura della pianta di Fico d’India la rende idonea alla formazione di siepi invalicabili sulle colline che fungono da frangivento e costituiscono un ostacolo al propagarsi degli incendi. Il Fico d’India non è originario dell’India ! allora perché si chiama così? Il nome Fico d’India sembra sia stato attribuito da Cristoforo Colombo, che riteneva di essere giunto nelle Indie. Alcuni secoli dopo, nel 1768, il botanico inglese di origini scozzesi, Philip Miller, definì la specie con il nome di Opuntia ficus-indica, denominazione tuttora ufficialmente accettata. Tale nome sembra derivare dall’antica città greca Opunte. Da qui il nome di una sostanza contenuta nella polpa dei cladodi come vedremo tra poco. Oltre ai benefici fitoterapici già raccontati nel paragrafo dedicato a “Proprietà fitoterapiche del Fico d’India” è stata da non molto scoperta l’importanza del Nopal come coadiuvante nel trattamento del sovrappeso e dell’obesità. Il nome Nopal è usato per indicare i giovani cladodi e deriva da “nopalli”, che nell’antica lingua azteca, significa foglie. Esattamente dai nopal, utilizzati anche nella cucina messicana sia cotti che crudi, si ricava una polpa disidratata che ha un alto contenuto di Opuntiamannano, ricco di polisaccaridi, al quale si deve la capacità di legare i grassi e gli zuccheri ingeriti, rendendoli così meno assimilabili per l’organismo. L’Opuntiamannano, insieme alla pectina anch’essa contenuta nella pianta, riducono la quota di zuccheri nel sangue evitando i picchi glicemici e generando il conseguente senso di sazietà; le due sostanze contribuiscono anche a mantenere livelli adeguati di colesterolo e trigliceridi.

Leggende e miti del Fico d’India

In Sicilia e nelle altre regioni meridionali, nel periodo maggio-giugno, si procede alla cosiddetta “scozzolatura”, ossia la rimozione manuale dei frutti con dei piccoli colpetti, un’operazione che serve per stimolare la pianta alla seconda fioritura autunnale. Per questo motivo i frutti che cresceranno dopo qualche tempo prendono il nome di “scuzzulati” o “bastarduna”. Si ritiene che questi frutti del secondo raccolto siano dotati di ricercate e pregiate caratteristiche organolettiche, più dei precedenti. Secondo una leggenda, invece, fu una lite tra due contadini la causa della nascita del fico d’ India scozzolato. Infatti, uno dei due contadini, il “bastarduni” tagliò i fiori sulle piante del concorrente per danneggiarlo e rovinargli la raccolta. Invece i frutti del Fico d’India ricominciarono a crescere con l’arrivo delle prime piogge ancora più succosi e grossi portando un maggior guadagno al contadino vittima in questa storia. Così, secondo la leggenda, si scopriva la pratica della scozzolatura. Secondo la leggenda “lu peri di ficurinnia”, il Fico d’India era una pianta velenosa, portata dai Turchi “senza fede” in Sicilia per distruggere il popolo siciliano, ma Dio, che tanto amava quella terra e i suoi contadini, rese i frutti dolcissimi e ricchi di proprietà miracolose. Si narra inoltre che dall’epoca dei turchi i contadini, nei giorni di vendemmia o raccolta, mangiassero numerosissimi frutti di Fico d’India a colazione; in realtà tale usanza sembra tragga origine dall’antica abitudine del padrone di far lavorare i coltivatori a stomaco pieno per evitare che mangiassero quanto raccolto.

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